venerdì 23 agosto 2013

LA SAGGEZZA NON E' UN DONO DELLA SORTE


1 Il fatto di vivere, Lucilio mio, è un dono degli dèi immortali, il fatto di vivere bene, della filosofia, nessuno può dubitarne. Dunque, noi dovremmo avere un debito maggiore verso la filosofia che non verso gli dèi, in quanto un'esistenza virtuosa è certamente un beneficio maggiore che l'esistenza; ma sono stati gli dèi a darci proprio la filosofia: non hanno concesso a nessuno la conoscenza di essa, a tutti la possibilità. 2 Se avessero reso anche la filosofia un bene comune e noi nascessimo saggi, la saggezza avrebbe perduto la sua straordinaria prerogativa di non essere un bene fortuito. Quello che essa ha di prezioso e di stupefacente è di non essere un dono della sorte, ma una conquista personale, qualcosa che non si chiede a un terzo. Cosa ci sarebbe da ammirare nella filosofia se derivasse da un beneficio? 3 Il suo unico còmpito è scoprire la verità sul divino e sull'umano; da essa non si staccano mai religione, sentimento del dovere, giustizia e il corteo di tutte le altre virtù strettamente connesse tra di loro. Ci ha insegnato, la filosofia, a venerare gli dèi, ad amare gli uomini, e che il comando è nelle mani degli dèi, e che gli uomini sono uniti tra loro. Questo stato di cose fu per un certo tempo rispettato, poi l'avidità ruppe l'associazione e fece diventare povere anche quelle persone che aveva un tempo reso ricchissime: desiderando beni propri cessarono di possedere il tutto. 4 Ma i primi uomini e la loro progenie seguivano con purezza la natura, trovavano nello stesso uomo la guida e la legge, affidandosi alle decisioni del migliore, poiché la natura subordina quello che è inferiore a quello che è superiore. Le greggi le guidano gli animali più grossi o più impetuosi, le mandrie non le precede un toro di scarto, ma quello che per grossezza e massa muscolare supera gli altri maschi; i branchi degli elefanti li conduce il più alto; fra gli uomini conta il migliore, non il più forte. Il capo veniva scelto per le sue qualità interiori, e perciò i popoli più fiorenti erano quelli in cui solo il migliore poteva essere il più potente: poiché può fare con sicurezza quello che vuole solo l'uomo che ritiene di potere unicamente quello che deve.
5 Posidonio pensa che nell'età cosiddetta aurea, il governo fosse nelle mani dei saggi. Essi tenevano a freno la violenza, difendevano il più debole dai più forti, facevano opera di persuasione e di dissuasione, indicavano ciò che era utile o inutile; la loro preveggenza faceva in modo che non mancasse niente al popolo, la loro forza teneva lontani i pericoli, la loro liberalità arricchiva e dava benessere ai sudditi. Comandare era un dovere, non una tirannide. Nessuno sperimentava il proprio potere contro chi gli aveva permesso di averlo, nessuno era incline o motivato a commettere ingiustizie, poiché i sudditi obbedivano con sollecitudine al sovrano che comandava rettamente e la minaccia più grave del re a chi disobbediva era di rinunciare al potere. 6 Ma quando, per l'insinuarsi dei vizi, il regnare si tramutò in dispotismo, nacque la necessità delle leggi: e anch'esse all'inizio furono i saggi a presentarle. Solone, che diede ad Atene solide fondamenta di giustizia, fu uno dei sette famosi sapienti: Licurgo, se fosse vissuto nella stessa epoca, sarebbe stato inserito in quella sacra congrega come ottavo. Si elogiano i codici di Zaleuco e di Caronda; costoro il diritto non lo impararono nel foro o nell'atrio degli avvocati, ma le leggi che avrebbero dato alla Sicilia allora fiorente e, attraverso l'Italia meridionale, alla Grecia, le appresero nel sacro e tacito ritiro di Pitagora.
7 Fin qui sono d'accordo con Posidonio: non condivido, invece, che la filosofia abbia inventato le arti di uso quotidiano, e non le attribuirei la gloria dei mestieri artigianali. "La filosofia," egli afferma, "insegnò a costruire case agli uomini dispersi qua e là e che trovavano riparo o in capanne, o in qualche caverna, o nel cavo di un albero." Secondo me la filosofia non ha escogitato questi congegni di tetti che sorgono sui tetti, di città che incalzano le città, come non ha escogitato i vivai ittici, creati per risparmiare alla gola il rischio delle tempeste e per offrire alla mollezza, quando il mare impazzisce furioso, cale tranquille in cui ingrassare diverse qualità di pesci. 8 Che dici? La filosofia ha insegnato agli uomini ad avere chiavi e serrature? Non era dar via libera all'avidità? La filosofia avrebbe innalzato dei tetti che sovrastano così pericolosamente chi vi abita? Non bastava proteggersi con ripari fortuiti, trovarsi un rifugio naturale che non richiedesse tecnica o fatica. 9 Credimi, era felice quell'epoca senza architetti, né decoratori. Tagliare le assi in modo regolare, segare le travi con mano sicura secondo le linee tracciate, questo è nato col nascere del lusso; i primi uomini, infatti, spaccavano con cunei il legno che si fendeva con facilità.
Non costruivano dimore con stanze destinate ai banchetti, pini e abeti non venivano trasportati in lunghe file di carri, facendo tremare le strade, per trasformarli in soffitti carichi d'oro sospesi sulle loro teste. 10 Puntelli dai due lati sostenevano la capanna; rami secchi stipati, fronde ammassate disposte con opportuna inclinazione assicuravano il defluire delle piogge anche torrenziali. Sotto questi tetti abitavano al sicuro: un tetto di paglia riparava gente libera; oggi sotto i marmi e l'oro abitano dei servi.
11 Su un altro punto ancora dissento da Posidonio: egli pensa che gli strumenti artigianali sono stati inventati dai filosofi; allo stesso modo potrebbe tranquillamente dire che i saggi allora escogitarono il modo di catturare le fiere con i lacci, di ingannarle con il vischio e di circondare con i cani le grandi balze selvose.
Tutte queste scoperte le fece la sagacia, non la saggezza umana. 12 Anche su questo non sono d'accordo: le miniere di ferro e di rame non le hanno trovate i saggi quando la terra bruciata dall'incendio delle foreste aveva riversato fuse le vene di metalli giacenti in superficie: sono cose che le trova chi se ne occupa. 13 E neppure mi sembra tanto acuto, come a Posidonio, il problema se l'uso del martello fu anteriore a quello delle tenaglie. Li inventò entrambi qualcuno dalla mente brillante e acuta, non nobile ed elevata, e fu così per qualsiasi altra cosa che va cercata col corpo curvo e concentrandosi sulla terra. Il saggio condusse sempre una vita semplice. E perché no? Anche di questi tempi desidera essere il più libero possibile. 14 Ma via, come può essere che ammiri Diogene e Dedalo insieme? Chi di loro ti sembra saggio? L'inventore della sega o il filosofo che, dopo aver visto un bambino bere l'acqua nel cavo della mano, tirò fuori il bicchiere dalla bisaccia e lo ruppe immediatamente rivolgendo a se stesso questo rimprovero: "Per quanto tempo ho portato da insensato pesi inutili!", egli che dormiva rannicchiato in una botte? 15 E oggi, chi ritieni più saggio? Chi ha trovato il modo di spruzzare a grandi altezze, attraverso condotti invisibili, essenze profumate, chi riempie i canali con un improvviso getto d'acqua o li prosciuga, e congiunge i soffitti girevoli delle sale da pranzo in modo che si susseguano immagini diverse e il tetto cambi tante volte quante sono le portate, oppure chi dimostra a sé e agli altri che la natura non ci costringe a nulla di faticoso e di difficile, che possiamo avere case senza ricorrere al marmista e al fabbro, che possiamo vestirci senza importare sete, che possiamo avere il necessario per i nostri bisogni se ci accontentiamo dei beni che la terra presenta in superficie? Se l'umanità vorrà ascoltarlo, capirà che un cuoco le è inutile quanto un soldato.
16 Erano saggi, o almeno simili ai saggi, quegli uomini che curavano il proprio corpo in modo sbrigativo. Procurarsi il necessario non richiede un impegno particolare: per i piaceri, invece, ci si affanna. Non c'è bisogno di artigiani: segui la natura. Essa non ha voluto che ci occupassimo di troppe cose: ci ha fornito il necessario per affrontare le prove alle quali ci costringeva. "Quando si è nudi, il freddo è insopportabile." Ebbene? La pelle delle fiere e di altri animali non può difenderci più che a sufficienza dal freddo? Tanti popoli non si coprono il corpo con la corteccia degli alberi? Non si intrecciano piume di uccelli per farne vestiti? Anche oggi la gran parte degli Sciti non indossa pelli di volpi e di martore, morbide al tatto e impenetrabili ai venti? E gli uomini non intrecciavano a mano un graticcio di vimini e lo spalmavano di fango e poi coprivano il tetto di paglia e di rami e passavano tranquilli l'inverno mentre le piogge scivolavano sugli spioventi del tetto? 17 "Però, bisogna respingere la calura estiva creando più ombra." Ebbene? Con gli anni non si sono formati molti anfratti che, scavati dalla corrosione del tempo o da qualsiasi altro fenomeno, divennero caverne? Non si rifugiano sottoterra i popoli della Sirte e quelli che, per l'eccessivo ardore del sole, non hanno nessuna copertura sufficientemente valida per respingere il caldo, se non la stessa terra riarsa? 18 La natura, che ha dato a tutti gli altri animali una vita facile, non è stata ingiusta al punto che solo l'uomo non potesse vivere senza tante arti; non ci ha imposto niente di gravoso, niente da ricercare con fatica per prolungare la vita. Fin dalla nascita abbiamo avuto tutto a portata di mano: ci siamo, però, resi tutto difficile per ripugnanza delle cose facili. Le case, i vestiti, i medicinali, il cibo e quanto ora è diventato fonte di grandi difficoltà, erano a portata di mano, gratuiti ed era possibile procurarseli con poca fatica; la misura di tutto era determinata dalla necessità: noi abbiamo reso questa roba preziosa, straordinaria e frutto di molte e importanti arti. La natura basta a soddisfare i suoi bisogni. 19 Il lusso si è scostato dalla natura, si incita da sé giorno per giorno, cresce attraverso le generazioni e alimenta i vizi con l'intelligenza. Dapprima ha cominciato col desiderare le cose superflue, poi quelle dannose, infine ha assoggettato l'anima al corpo, comandandole di servire le sue voglie. Tutte queste arti che mettono in movimento o riempiono di strepito le città fanno gli interessi del corpo: un tempo gli si dava tutto come a uno schiavo, ora glielo si offre come a un padrone. Ecco, dunque, qua le botteghe dei tessitori, là quelle dei fabbri, gli odori delle cucine, le scuole dove si insegnano molli danze e canti languidi ed effeminati. È scomparsa quella naturale misura che limitava i desideri alle necessità; ormai è segno di grossolanità e di miseria volere solo quanto basta.
20 È incredibile, Lucilio mio, con quanta facilità la suggestione della parola distolga anche i grandi uomini dalla verità. Ecco Posidonio, a mio avviso, uno degli uomini che hanno dato un grandissimo apporto alla filosofia; egli vuole descrivere prima come si ritorcano alcuni fili, come altri siano tratti da una massa morbida e lenta; poi come il telaio tenga dritto l'ordito per mezzo di pesi attaccati, come con la spatola si raccolgano e uniscano i fili inseriti per ammorbidire la durezza della trama che preme sui due lati; afferma poi che anche la tes situra è stata inventata dai saggi, dimenticando che, in sèguito, si è trovato questo sistema più ingegnoso in cui la tela è legata al subbio, il pettine separa i fili dell'ordito, con la spola appuntita si inserisce fra mezzo la trama, e i denti intagliati nel largo pettine la battono.
 Che avrebbe pensato se avesse potuto vedere i tessuti di oggi con cui si confezionano vestiti completamente trasparenti, che non servono né al corpo, né al pudore? 21 Posidonio passa quindi ai contadini: con la stessa eloquenza descrive come venga arato più volte il terreno perché le radici penetrino più facilmente nella terra morbida, poi descrive la semina e l'estirpazione a mano delle erbacce perché non spunti qualcosa a caso o qualche pianta selvatica che faccia morire il raccolto. Pure quest'opera la attribuisce ai saggi, come se i contadini non trovassero anche oggi moltissimi sistemi nuovi per accrescere la produttività. 22 Poi, non ancora contento di queste arti, egli infila il saggio anche nei mulini e racconta come incominciò a fare il pane imitando la natura. "I denti con la loro durezza," afferma, "spezzano i cereali che mettiamo in bocca e quanto sfugge, la lingua lo riporta di nuovo ai denti; poi il tutto viene mescolato con la saliva perché scivoli più facilmente per la gola; quando arriva allo stomaco, è digerito dal suo calore uniforme; infine, viene assorbito dal corpo. 23 Qualcuno, seguendo questo esempio, pose due pietre ruvide l'una sull'altra a somiglianza dei denti, di cui una parte sta ferma e l'altra si muove; poi con l'attrito delle due pietre spezzò i chicchi, e ripeté più volte l'operazione fino a ridurli triturati in farina; poi bagnò la farina, la impastò lavorandola a lungo e fece il pane, che all'inizio fu cotto al calore della cenere e in un vaso di argilla rovente, quindi nei forni inventati col tempo e con altri sistemi a calore regolabile." Per poco non disse che anche il mestiere di calzolaio l'hanno inventato i saggi.
24 La ragione, non la retta ragione, ha escogitato tutte queste attività. Sono scoperte dell'uomo, non del saggio, come, appunto, le navi con cui attraversiamo fiumi e mari, dopo aver sistemato le vele per sfruttare la forza del vento e collocato a poppa il timone per indirizzare la nave su rotte diverse. L'esempio è stato preso dai pesci che regolano i loro movimenti con la coda e si dirigono rapidamente con un guizzo da una parte o dall'altra. 25 "Tutte queste scoperte," egli afferma, "le fece proprio il saggio, ma poiché erano troppo poco importanti per occuparsene lui stesso, le ha passate a più umili esecutori." E invece, queste arti sono state escogitate proprio da quegli stessi che, ancor oggi, le praticano. Certe invenzioni, lo sappiamo, sono recenti: l'uso dei vetri, che con il loro materiale trasparente lasciano filtrare la luce nella sua luminosità; le volte dei bagni e i tubi attaccati ai muri che emanano un calore omogeneo per tutta la stanza sopra e sotto. E che dire dei marmi di cui risplendono i templi, le case? E le enormi colonne di pietra levigata che sostengono porticati ed edifici atti a contenere una gran quantità di gente, e della tachigrafia, grazie alla quale si possono trascrivere anche discorsi rapidi e seguire con la mano la velocità della lingua? Queste sono invenzioni degli schiavi più umili: 26 la saggezza sta più in alto, insegna agli animi, non alla mano. Vuoi sapere che cosa ha scoperto, che cosa ha prodotto? Non i movimenti aggraziati del corpo, o la diversa melodia della tromba o del flauto, che ricevono il fiato e durante il passaggio o all'uscita dallo strumento lo trasformano in suono. Non fabbrica armi, fortificazioni o arnesi da guerra: favorisce la pace, e il genere umano lo invita alla concordia. 27 Non è - ripeto - l'artefice di strumenti per le necessità pratiche. Perché le assegni attività così meschine? Tu hai davanti l'artefice della vita. Ella ha il dominio sulle altre arti: è signora della vita e signora di ciò che è ornamento della vita: ma tende a uno stato di felicità, a quella mèta ci conduce e ci spiana il cammino. 28 Ci mostra i mali veri e quelli apparenti; libera la mente da ogni vanità, dà la grandezza autentica e reprime quella tronfia, fatta di vuote apparenze, vuole che sappiamo la differenza tra grandezza e superbia; ci fa conoscere se stessa e la totalità della natura. Ci rivela l'essenza e le qualità degli dèi, che cosa siano gli inferi, i lari, i genii, le anime che sopravvivono sotto forma di divinità secondarie, la loro sede, la loro attività, il loro potere e volontà. Questa è l'iniziazione attraverso la quale essa ci schiude non il sacrario di una città, ma il vasto tempio di tutti gli dèi, l'universo stesso, di cui ha offerto all'esame dell'intelligenza l'immagine vera, il vero aspetto: l'occhio umano è debole per spettacoli così grandi. 29 È ritornata, poi, ai principî delle cose, alla ragione eterna immanente nell'universo e alla forza di tutti i semi che dà ai singoli esseri una propria forma. Ha cominciato a indagare sull'anima, sulla sua origine, la sua sede, la sua durata, e sulle parti in cui è divisa. È poi passata dal corporeo all'incorporeo e ha esaminato la verità e le prove della verità; ha, quindi, mostrato come si possono distinguere le ambiguità nella vita e nelle parole, perché in entrambe vero e falso sono confusi insieme.
30 Secondo me il saggio non è che si sia allontanato da queste occupazioni, come sostiene Posidonio; non vi si è mai applicato. Per il saggio non sarebbe stata meritevole di invenzione una cosa che non giudicasse meritevole di un uso perpetuo; non avrebbe intrapreso un'opera che poi doveva lasciare. 31 "Anacarsi," afferma, "inventò il tornio, che ruotando permette di foggiare i vasi." E, poiché in Omero si parla del tornio, si è preferito ritenere falsi i suoi versi invece della notizia di Posidonio. Io non contesto il fatto che Anacarsi fu l'inventore del tornio; in questo caso fu certo un saggio a fare questa scoperta, ma non come tale: i saggi compiono molte azioni in quanto uomini, non in quanto saggi. Supponi che un saggio sia velocissimo nella corsa: supererà tutti perché è veloce, e non perché è saggio. Vorrei mostrare a Posidonio un vetraio, che soffiando foggia il vetro in molteplici forme: una mano precisa stenterebbe a modellarlo. Queste scoperte furono fatte quando si smise di trovare i saggi. 32 "Affermano che Democrito inventò l'arco" dice Posidonio, "in cui la pietra centrale tiene ferme le altre che gradualmente si inclinano." Ma è falso! Già prima di Democrito c'erano necessariamente ponti e porte che sono in genere curvi alla sommità. 33 Vi sfugge, inoltre, che sempre Democrito inventò il modo di lavorare l'avorio, di tramutare in smeraldo una pietruzza, sottoponendola a un forte calore, sistema con cui, anche oggi, si colorano le pietre adatte a questo scopo. Saranno pure scoperte di un saggio, ma non in quanto tale: egli, difatti, fa molte cose che vediamo fare o nello stesso modo o con più abilità e più pratica da gente del tutto ignorante.
34 Vuoi conoscere le ricerche e le scoperte del saggio? Per prima cosa, ha studiato la verità e la natura, che non ha indagato con occhi tardi a comprendere la realtà divina, come gli altri esseri animati; poi, la legge dell'esistenza, che ha regolato secondo l'ordine universale e ha insegnato non solo a conoscere, ma anche a obbedire agli dèi e ad accogliere gli eventi della vita come comandi. Ha impedito che si seguissero false credenze e ha attribuito a ogni oggetto il suo valore facendone una stima precisa; ha condannato i piaceri, cui si mescola il pentimento, lodato i beni, fonte di perpetua soddisfazione, e ha dimostrato che l'uomo più felice è quello che non ha bisogno della felicità e il più potente quello che ha il dominio di se stesso. 35 Non mi riferisco a quella filosofia che ha posto i cittadini fuori dallo stato, gli dèi fuori dal mondo, che ha messo la virtù in balia del piacere, ma a quella che giudica l'onestà il solo bene, che non si lascia sedurre dai doni degli uomini o della fortuna e il cui valore è di essere incorruttibile.
Non credo che questa filosofia esistesse in quell'età rozza quando non c'erano ancòra i mestieri e l'esperienza stessa insegnava ciò che era utile. 36 Credo, invece, che venne dopo quei tempi fortunati, quando i beni della natura erano in comune e tutti potevano farne uso insieme, prima che l'avidità e il lusso dividessero gli uomini e insegnassero a passare dalla comunanza al ladrocinio. Non erano saggi, quelli, anche se facevano quello che devono fare i saggi. 37 Nessuno potrebbe guardare con più ammirazione un'altra condizione umana e se anche dio permettesse a qualcuno di dare ordine alla terra e costumi ai popoli, non potrebbe giudicare opportuna altra condizione che quella esistente al tempo in cui nessun colono lavorava i campi; e non si poteva nemmeno contrassegnare o dividere il terreno con linee di confine: il raccolto era comune ed era la terra ad offrire i suoi beni spontaneamente, senza che nessuno li ricercasse.
38 Ci può essere generazione di uomini più felice di quella? Insieme godevano i prodotti della natura che, come una madre, bastava al sostentamento di tutti, e, senza pericolo, possedevano le ricchezze in comune. Perché non dovrei definire ricchissimi quegli uomini tra cui non avresti potuto trovare un solo povero? L'avidità fece breccia in quelle eccellenti condizioni di vita e mentre desiderava sottrarre dei beni e farli suoi, fu privata di tutto e da una ricchezza smisurata si ridusse in ristrettezze. L'avidità portò la miseria: desiderando troppo, perse ogni cosa. 39 Si sforzi pure, adesso, di recuperare ciò che ha perduto, aggiunga campi su campi, scacciando il vicino col denaro o con la violenza, estenda le campagne a intere province e la parola possesso significhi un lungo viaggio attraverso le proprie terre: nessun ampliamento di confini ci riporterà al punto di partenza. Facciamo tutto il possibile: avremo molto; ma prima avevamo tutto. 40 Anche la terra, senza lavorarla, era più fertile e generosa verso le necessità degli uomini che non si contendevano i suoi frutti. Era un piacere sia trovare i prodotti della terra, sia mostrarli agli altri; nessuno poteva avere troppo o troppo poco: si divideva in pieno accordo. Il più forte non aveva ancòra messo le mani sul più debole, l'avaro non aveva ancòra tolto anche lo stretto necessario al prossimo, nascondendo il capitale inutilizzato: ognuno aveva la stessa cura di sé e degli altri. 41 Non si combatteva e le mani, senza spargere sangue umano, riversavano tutta la loro aggressività sulle fiere. Quegli uomini che si riparavano dal sole nel fitto di un bosco, che per sfuggire l'inclemenza dell'inverno e della pioggia vivevano al sicuro in un umile rifugio sotto le fronde, passavano notti tranquille senz'ansia. Ora in preda all'angoscia noi ci rivoltiamo nei nostri letti lussuosi e ci pungolano aspri tormenti; su quella terra dura, invece, che placidi sonni per loro! 42 Non li sovrastavano soffitti intagliati, ma giacevano all'aperto mentre sul loro capo scorrevano le stelle e, straordinario spettacolo delle notti, l'universo si muoveva rapido, compiendo in silenzio una così grande opera. Sia di giorno che di notte si apriva loro la vista di questa splendida dimora; era un piacere contemplare il declino delle stelle in mezzo al cielo e il sorgere di altre da un buio segreto. 43 Non era piacevole vagare fra tante meraviglie sparse per ogni dove? Voi, invece, tremate di paura a ogni rumore della casa e fra i vostri affreschi fuggite spaventati al minimo suono. Non possedevano case grandi come città: l'aria e il suo libero soffio per gli spazi aperti, l'ombra leggera di una rupe o di un albero, fonti e ruscelli trasparenti che l'uomo non aveva ancora deturpato con dighe, tubi, o deviandone il corso, ma che scorrevano naturalmente, e prati belli senza artificio, e in mezzo a un tale scenario una rustica dimora abbellita da mani semplici - era questa la casa secondo natura, in cui era bello vivere, senza aver paura di essa o per essa: ora la casa costituisce gran parte delle nostre paure.

 44 Certo, condussero una vita perfetta e pura, ma non furono saggi: questo è un nome che ormai indica l'attività più nobile. Non nego, tuttavia, che avessero un animo elevato e fossero, per così dire, usciti proprio allora dalle mani degli dèi; sicuramente il mondo, non ancora esausto, produceva esseri migliori. Ma se avevano un carattere più forte e più disposto alle fatiche, non tutti, però erano dotati di una intelligenza perfetta. La virtù non è un dono naturale: diventare virtuosi è un'arte. 45 Quelli non cercavano oro, argento e pietre preziose nelle viscere della terra e risparmiavano anche gli animali: non si concepiva nemmeno che un uomo uccidesse un proprio simile, non per ira, né per timore, ma solo per il gusto di vederlo morire. Non avevano ancòra vestiti variopinti, non tessevano l'oro, anzi nemmeno l'estraevano. 46 E allora? Erano innocenti per ignoranza: ma c'è molta differenza fra chi non vuole e chi non sa agire male. Non avevano giustizia, prudenza, temperanza, fortezza. Somigliava un po' a queste virtù quella vita primitiva: ma solo l'animo profondamente istruito ed elevato al più alto grado di perfezione da un costante esercizio raggiunge la virtù. Per essa nasciamo, ma senza di essa, e anche negli uomini migliori, prima che vengano istruiti, c'è materia di virtù, non virtù. Stammi bene.

TRATTO DA "Lettere a Lucilio" - SENECA



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